I controlli dei vaccini antiaftosi: un necessario ripensamento

Massimo Amadori
Rete Nazionale di Immunologia Veterinaria, Brescia

Premessa

Gli attuali focolai di afta epizootica in Ungheria e Slovacchia fanno seguito al precedente grave episodio in Germania nel gennaio di quest’anno e delineano una situazione grave nel continente europeo. Essa si colloca in un periodo difficile per gli scambi di animali vivi e di carni, quale il periodo pasquale, caratterizzato da flussi d’importazione assai rilevanti di agnelli e capretti. Essi risultano bloccati dalla Slovacchia, ma non dall’Ungheria e da altri Paesi dell’Europa centrale di stato zoo-sanitario per lo meno dubbio. In tale contesto, la questione della vaccinazione antiaftosa di emergenza è tornata di attualità in riferimento a due fatti precisi:

  • L’allestimento di un numero elevato di dosi di vaccino dalla riserva comunitaria su ordine della Germania.
  • L’impiego di parte di tali dosi per operazioni di vaccinazione “soppressiva” in alcuni dei focolai in corso.

Tali fatti si inquadrano in un contesto di obiettive difficoltà della sorveglianza sanitaria, di ridotta disponibilità di presidi immunizzanti e di ridotta potenzialità di controllo in ambito europeo. In sostanza, per quanto riguarda l’Italia, la sede di Brescia della Banca Europea dei vaccini antiaftosi venne smantellata nel dicembre 2004. Dopo un periodo di sostanziale incertezza, venne avviata una Banca Nazionale dei vaccini, che si esaurì però nel 2017.

Esaurite storicamente le competenze e le infrastrutture dei laboratori nazionali a partire dal 1991, la produzione e il controllo dei vaccini antiaftosi sono rimasti di competenza esclusiva dei produttori privati. Essi conferiscono antigeni inattivati alla banca centrale UE, in accordo col Regolamento UE 2022/140. Si registra di fatto un quasi monopolio in tale attività a partire dal 2017, allorquando Mèrial venne inglobata da Boehringer Ingelheim Animal Health. In tale contesto, l’attuale capacità produttiva di Boehringer potrebbe non essere all’altezza di un fabbisogno allargato di dosi vaccinali in caso di grave epizoozia in Europa.

Infine, per quanto riguarda le competenze tecniche nel controllo di tali vaccini, un drastico peggioramento si è verificato pure a partire dal 2017 con la Brexit, che ha comportato la perdita per la UE del laboratorio di Pirbright, sostituito a partire dal 2018 da un consorzio tra gli istituti ANSES (Francia) e Sciensano (Belgio). In particolare, non è chiaro se tale consorzio abbia un reale accesso agli antigeni inattivati della Banca Europea e se abbia un reale possibilità di controllo su questi.

Riassumendo: a fronte di una situazione zoo-sanitaria assai preoccupante e di un potenziale aumentato fabbisogno di vaccini antiaftosi, il quadro europeo complessivo è fonte di fondate preoccupazioni.

Il problema scientifico

I vaccini antiaftosi da impiegare per la vaccinazione di emergenza devono essere in grado di indurre protezione verso il ceppo di virus circolante entro 4-5 giorni al più tardi. Si tratta di impiegare vaccini potenti dello stesso sierotipo con almeno 8-10 DP50 (Dose Protettiva 50% stimata col metodo dei Probit), di correlazione antigenica sufficientemente elevata col virus di campo e di stabilità elevata dopo l’inattivazione (problema serio per i sierotipi SAT del virus aftoso). Si assiste inoltre ad un’evidente discrepanza tra i requisiti attuali per l’approvazione dei lotti di vaccino e la loro idoneità potenziale per l’impiego di emergenza. Di fatto, i vaccini antiaftosi devono possedere almeno 3 DP50 , valutate dopo saggio di infezione sperimentale a 21 giorni dalla vaccinazione o mediante saggio sierologico validato. Il saggio sierologico (Amadori M. et al., 1991, Biologicals, 19, 191-196) venne pure introdotto in Italia negli anni 90’. Tuttavia, entrambi i test sono potenzialmente fuorvianti poiché basati largamente sulla risposta anticorpale degli animali a 21 giorni dalla vaccinazione (saggio di neutralizzazione o Liquid Phase Blocking Sandwich ELISA). Al contrario, nel caso della protezione precoce a 4-5 giorni dalla vaccinazione, i saggi sierologici non sono predittivi: vi sono infatti bovini protetti in assenza di anticorpi neutralizzanti (Quattrocchi V. et al., 2014, Vaccine, 32: 2167-72). In realtà, le evidenze disponibili indicano che la protezione non è basata su meccanismi anticorpali, bensì da un complesso di citochine attivatorie e regolatorie che si accumulano rapidamente nel plasma degli animali vaccinati (Barnett PV et al., 2002, Vaccine, 20:3197-208). Tale dato non deve destare sorpresa. Molti anni or sono, era stato osservato un potente meccanismo di controllo cellulo-mediato della replicazione del virus aftoso in vitro (Amadori M et al.1992, Arch Virol. 122, 293-306) ed era stato indicato un ruolo importante dei linfociti T a recettore gamma/delta (Amadori M. et al., 1995, Viral Immunol. 8: 81-91), di numerosità assi elevata nei bovini e in altri ruminanti (Hein WR, Mackay CR. 1991. Immunol Today. 12: 30-34). Altri dati scientifici hanno inoltre messo in evidenza che tali cellule T gamma/delta possano essere attivate dai vaccini inattivati, come evidenziato ad esempio nel modello Leptospira (Wilson-Welder JH et al, 2021, mSphere 6:e00988-20). Un loro ruolo importante non può essere escluso infine nella protezione assai precoce osservata dai colleghi russi di Vladimir (a 24 ore dalla vaccinazione), che si ottiene inoculando vaccini di potenza assai elevata (circa 300 DP50) nelle labbra dei bovini prima della infezione sperimentale (Dudnikov A.I. et al., 1995, Proceedings FAO Research Group of the EUFMD, Vladimir, Russian Federation, 20-22 September 1995, pp 84-100).  Infine, ci sono prove schiaccianti che la differenza abnorme di disseminazione ambientale di virus aftoso tra bovini e suini è dovuta al blocco sostanziale delle funzioni NK (Natural Killer) nel suino, a differenza di quanto osservato invece nei bovini (Toka FN, Golde WT. 2013. Immunol Lett. 152:135-43). Gli anticorpi non hanno sostanzialmente un ruolo in questi fenomeni precoci post vaccinazione e post infezione. Pertanto: gli attuali saggi di controllo dei vaccini antiaftosi potrebbero essere imprecisi o forse addirittura fuorvianti in riferimento al requisito di protezione precoce.

Che cosa si può fare

In generale, si può affermare che è necessario ricostruire in ambito UE serie competenze in questo settore ed effettive possibilità di controllo sugli antigeni della Banca europea, anche sul piano legale.

Sul piano delle soluzioni tecniche, il primo passo da compiere è sicuramente allestire materiali di riferimento idonei; innanzitutto aliquote di sieri bovini prelevati a 4-5 giorni dalla vaccinazione con vaccini antiaftosi di potenza controllata o dalla somministrazione del solo adiuvante (controllo). Su tali sieri dovrebbe essere valutato il profilo di alcune citochine circolanti valutate in precedenza in bovini risultati protetti e si dovrebbero definire requisiti minimi derivanti dal paragone con i risultati dei sieri controllo.

Rimane comunque il problema di capire quale possa essere la protezione precoce dei bovini vaccinati esposti al nuovo ceppo di campo. Per risolvere tale problema, credo che si possa utilizzare la tecnologia ELISPOT (Slota M et al., 2011. Expert Rev Vaccines. 10:299-306) su aliquote di cellule mononucleate di sangue periferico (PBMC) di bovini vaccinati e di bovini di controllo, congelate in azoto liquido. I saggi ELISPOT mettono in evidenza la frequenza di linfociti T specifici per un particolare antigene, secernenti citochine di attivazione (di solito interferon-gamma, vedi figura 1).  Tali aliquote di PBMC congelate sono state da tempo validate all’impiego nei saggi ELISPOT (Smith JG et al., 2007, Clin Vaccine Immunol. 14:527-537). In pratica, tali aliquote di PBMC verrebbero messe a contatto per 24-48 ore con una concentrazione controllata del nuovo virus di campo (circa 1 microgrammo/mL), previa sua inattivazione. L’incubazione avverrebbe in pozzetti di piastrine di nitrocellulosa o PVDF sensibilizzate con anticorpo monoclonale anti IFN-gamma bovino. Alla fine di tale periodo, la risposta in “IFN-gamma secreting cells / 105 PBMC” sarebbe valutata rispetto a quella dei PBMC di controllo (prelevati da bovini trattati col solo adiuvante dei vaccini). Un incremento di 3-4 volte rispetto al fondo negativo sarebbe indicativo di significativa attivazione del sistema immunitario. A tal fine, esistono strumenti di laboratorio molto avanzati in grado di valutare finemente tale risposta.

Inoltre, sulle stesse aliquote di PBMC a vitalità controllata, è pure possibile valutare il potenziale di risposta anticorpale a 1-2 settimane. Ovvero, come già dimostrato in precedenza, il contatto prolungato in vitro (7-10 giorni) tra tali PBMC e il virus inattivato di campo in questione provoca una risposta delle cellule B che porta alla sintesi di anticorpi specifici misurabili con saggio ELISA o di neutralizzazione, sintesi modulata positivamente da interferon-alfa (Amadori M. et al. 2011, Proceedings IV Workshop nazionale di virologia veterinaria, Brescia, 9-10 giugno 2011, pp. 79). Tale attività dipende dalla presenza nei PBMC di cellule B mature specifiche, esposte in precedenza ai segnali di sopravvivenza BAFF e APRIL (Mackay F et al., 2003  Annu Rev Immunol. 21:231-264). Trattasi quindi di saggio predittivo sulla performance dei vaccini nel periodo successivo a quello sopra nominato di 4-5 giorni post-vaccinazione. 

Conclusioni

L’attuale crisi zoo-sanitaria in Europa impone di attuare scelte coerenti ai fini di un più efficace controllo dell’Afta Epizootica. Si rende necessaria in particolare una valutazione indipendente, obiettiva e scientificamente fondata degli attuali presidi immunizzanti. Un’ultima riflessione va rivolta alle ottime prestazioni del vaccino ricombinante a base di Adenovirus umano sierotipo 5, esprimente capside virale intero vuoto, senza RNA virale (Barrera J et al., 2018. Vaccine, 19:7345-7352). Tale processo produttivo non comporta i problemi di biosicurezza associati alla produzione dei vaccini antiaftosi tradizionali; la sua implementazione da parte dell’industria europea potrebbe costituire uno strumento utile per dotare l’Europa di quantità idonee di vaccini antiaftosi potenti ed innocui.